Amleto nell’era di Facebook. Lo spettacolo di Berardi-Casolari all’Arena del Sole

La scena si illumina e sullo sfondo un Cristo sofferente in croce inizia a parlare, a recitare la sua ultima preghiera prima della definitiva morte. E recita male: si interrompe, balbetta, perde il filo del discorso, sembrerebbe proprio l’inizio di un pessimo spettacolo.
Se lo zio di Amleto è sempre presente con consigli e attacchi all’autostima del giovane, il padre è un fantasma: un operaio che quando torna a casa la sera e trova tutto pronto per la cena, legge il giornale in religioso silenzio, finché non decide di giocare un po’ con suo figlio per poi andare a dormire. Intorno all’età di vent’anni al giovane Amleto viene diagnosticata una malattia che lo porterà alla perdita della vista e la condanna a una visione bianca del mondo da lì fino alla sua morte: quello è stata una delle poche volte in cui Amleto ha visto suo padre uscire da quella corazza rigida e sciogliersi in lacrime.
Ma questo ostacolo non ferma Amleto: in un mondo dove tutto è alla portata di un click cosa può impedire a un uomo come lui di sognare e desiderare una vita al livello di tutte le altre persone? Allora inizia ad addentrarsi in mondi virtuali dove l’apparenza viene prima di ogni cosa e dove un “like” può decidere della vita o della morte di una persona. «To be or fb?» si chiede il protagonista «uscire in strada a cercare l’amore o scaricare un’applicazione e farcelo arrivare a casa sul divano, così, “take away”?»
Amleto Take Away di Gianfranco Berardi e Gabriella Casolari è uno spettacolo che appartiene al filone del “teatro contemporaneo” e che lascia volontariamente molti dubbi: essere o apparire? Sfruttare il mondo e afferrarlo o aspettare che sia lui a venire da noi?
Durante gli applausi stavo ripensando velocemente ad alcuni elementi che mi avevano maggiormente colpita: la seconda attrice in scena (Gabriella Casolari) che portava gli oggetti al protagonista, la panca che veniva lasciata cadere a terra con un tonfo come a segnalarne la presenza, la frase di Amleto che, venuto tra il pubblico e rivoltosi a una signora piuttosto silenziosa, ha espresso il dubbio di essersi avvicinato a una sedia vuota. Poi, l’illuminazione. Amleto è cieco… no, non il personaggio, bensì Gianfranco Berardi, il suo interprete. È stato come se mi fosse passato nella mente tutto lo spettacolo una seconda volta ma al buio: e così ho potuto analizzare i rumori, gli spostamenti, i gesti dell’assistente e attribuire tutto un altro significato alla narrazione. Insomma, una doppia interpretazione regalatami da un solo attore e nel minimo spazio di un’ora e di un palcoscenico spoglio.
Eleonora Poli