Autobus n. 20, strapieno, orario di punta, destinazione Pilastro. Scendiamo in via Panzini e ci addentriamo nel DOM, la Cupola del Pilastro, dove ci accoglie con calore il direttore di Laminarie, Febo Del Zozzo. Nella sala vi sono alcune sedie disposte a semicerchio, qualche cuscino per terra, uno schermo. Dopo una breve presentazione da parte di Febo ha inizio lo spettacolo site specific di Amira-Géhanne Khalfallah, l’artista algerina protagonista della residenza. La struttura è molto semplice: viene proiettato un video di qualche minuto in cui una persona del quartiere racconta un aneddoto della sua vita; nella maggior parte dei casi la stessa persona è seduta fra il pubblico, si alza con un foglio in mano distribuito sul momento da Amira e ne legge al microfono il contenuto, la reinterpretazione dell’artista di ciò che ha sentito e visto nel video. La persona torna al posto e il medesimo schema si ripete, con altri soggetti, per una decina di volte. Prima dell’inizio delle proiezioni, nello schermo, lettere bianche su fondo rosso, leggiamo il nome della persona che sta per narrarci il suo ricordo. Si parla di patate e di tessere di partito, di boxe e di fumo, di feste nel parco e di lezioni di tango. Aneddoti divertenti e ricordi più ordinari, raccontati in spazi aperti e chiusi.

ph Mario Carlini

Siamo spettatori di un video e di un testo, o di video con il testo. Questa del resto è una delle accezioni del termine contesto, che è appunto il nome della stagione teatrale di Laminarie di quest’anno. Piersandra Di Matteo parte infatti dalla parola, testo per discutere della residenza artistica. Il testo ha un’importanza speciale perché è il mezzo attraverso il quale l’artista algerina si è avvicinata al teatro, con la lettura e la scrittura. Amira ci racconta che dal suo punto di vista il teatro è un luogo di conflitto, in cui ci si scontra con barriere visibili (pensiamo ai muri da sempre eretti per escludere chi è diverso da noi) o invisibili, come il linguaggio. Il suo lavoro, Les motes des autres (Le parole degli altri, presentato lo scorso 17 febbraio), si fonda infatti sulla diversità di lingua fra l’artista e i protagonisti, francese e italiano; la mancata piena comprensione reciproca determina allora una perdita di senso delle parole, che però si converte in un arricchimento, giacché la drammaturga, con il suo racconto letto ad alta voce, fornisce delle storie nuove. Sara Fulco, la curatrice dei report delle residenze, ci fa notare nel suo intervento la doppia narrazione scaturita dal lavoro, il suo carattere fantastico e la reazione di spaesamento e distaccamento dei performers quando leggono a voce alta, per la prima volta, la loro “seconda” storia, quella redatta dall’artista.

ph Mario Carlini

Questa doppia narrazione, tuttavia, non risulta molto marcata, in quanto i racconti scritti da Amira sono nella maggior parte dei casi la trasposizione quasi esatta degli aneddoti sentiti nel video grazie alla vicinanza linguistica. Il senso generale è stato per lo più sempre afferrato, e solo quando qualche parola è stata equivocata abbiamo potuto ascoltare le storie più colorate e divertenti. L’interesse dell’opera risiede quindi maggiormente nelle proiezioni più che nei racconti: siamo di fronte a persone diverse per età, sesso, nazionalità, ma tutte accomunate dal loro stare e vivere al Pilastro (lo stesso contesto) e dalla disponibilità a mettersi in gioco, a dirci qualcosa di loro. Del resto, Amira stessa ammette di non aver lavorato molto sull’invenzione, perché focalizzata all’incontro con l’altro, che per lei significa la condivisione dell’immaginario altrui.

Marta Buggio