Via tutti gli elementi superflui. Margherita Palli e le scenografie per Luca Ronconi

«Lui è la mente, di cui io sono il braccio». Così Margherita Palli, scenografa storica di Luca Ronconi, in un incontro che si è svolto al Dams di Bologna lo scorso 13 febbraio, racconta la sua collaborazione con il grande regista, venuto a mancare proprio nel mese di febbraio di circa due anni fa.
Ciò che ha sempre accomunato i due artisti, fin dal loro primo lavoro nel 1984, è stata una sintonia caratteriale, tra precisione e rigore, tra crudeltà e gioco. Quest’ultimo è del resto un tratto distintivo della visione registica e immaginaria di Ronconi, che intendeva non solo «il teatro come gioco, ma il gioco che si fa teatro». Margherita Palli riesce a trasmettere questa idea attraverso scenografie che non sono semplicemente decorative o descrittive, ma attive e complesse. Paragona il lavoro in teatro con ciò che accade in cucina: si collabora in squadra per servire un unico piatto. Tutti lo condiscono con diversi ingredienti ma gli sforzi hanno lo stesso valore, indipendentemente dal prezzo. Un’attività che richiede il rispetto di certe tempistiche ma che gioca con l’immaginazione e la creatività.
La Palli ci racconta della sua esperienza con Ronconi presentando l’allestimento per l’opera lirica Lucia di Lammermoor di Donizetti, ultimo lavoro del grande regista. Precisa fin da subito come Ronconi pensasse alle scene partendo dalla drammaturgia. Non voleva, però, che fossero univoche o troppo condizionanti proprio per permettere, sia al regista ma anche agli spettatori, diverse interpretazioni senza andare fuori tema. Una «serie di frammenti di spazi», così li definiva. Il caso di Lucia di Lammermoor è un esempio per capire questo gioco scenico: nella pièce la protagonista subisce le imposizioni e gli inganni dell’impero maschile della sua famiglia e, in questo clima così ostile, vive un amore squilibrato. Una situazione che la porterà prima alla pazzia, e poi alla morte. Ronconi e Palli hanno trasformato il luogo originario, ovvero un romantico castello scozzese, in un manicomio, una fortezza claustrofobica. Una soluzione che ha permesso di raccontare freddamente e concretamente la pazzia e poi la morte di Lucia.

Via tutte le decorazioni, via la simmetria, via tutti gli elementi superflui. In scena ogni oggetto serve o simboleggia qualcosa. Un lavoro costruito con strutture volumetriche, fatte di scale e passerelle che si modificano col progredire dell’azione, trasformandosi continuamente e raccontando qualcosa di più. Dei luoghi, inoltre, fatti su misura dei cantanti, affinché il “bel canto” fosse servito in tutta sicurezza. Palli ci rivela, infatti, come il lavoro dello scenografo debba talvolta considerare la statura e l’agilità di chi abiterà la scena, specialmente quando il tempo dell’azione, nel caso dell’opera lirica, è dettato dalla musica e non transige rallentamenti di alcun tipo. In ogni caso Ronconi, forse perché molto capace anche nel disegno, è sempre stato in grado di fornire precise indicazioni sullo spazio e lei ha saputo seguirlo fin nei minimi dettagli. Dimostra come, talvolta, sia il rispetto delle regole sia il riferimento all’antica tradizione artistica, non impediscano la creatività ma rappresentino invece un fondamentale punto di partenza per esprimere la propria individualità.
Camilla Fiore